Onorevoli Colleghi! - Il lento cammino verso la rimozione degli ostacoli che hanno impedito la parità di accesso tra donne ed uomini alle consultazioni popolari, dopo la battuta di arresto imposta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 422 del 1995, sembra giunto ad un punto di svolta.
Alla sentenza della Corte, che decretava la incostituzionalità degli articoli 5 e 7 della legge n. 81 del 1993 e dell'articolo 2 della legge n. 415 del 1993 e, conseguentemente, la inapplicabilità del sistema di promozione della partecipazione femminile alle competizioni elettorali, ha fatto seguito l'evoluzione del quadro costituzionale, in primis con la riforma dell'articolo 117 della Costituzione, ove si impone alle regioni ordinarie di rimuovere «ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e di promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive», dunque con un precetto ancora più esplicito di quello della legge costituzionale n. 2 del 2001 per le regioni a statuto speciale, cui viene demandato il compito di promuovere «condizioni di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali», «al fine di realizzare l'obiettivo della rappresentanza dei sessi».
La «parità effettiva», anche per l'accesso alle cariche elettive, rappresenta ormai una finalità apprezzabile dal punto di vista dei princìpi costituzionali.
In tale contesto, si è inserita la modifica dell'articolo 51 della Carta costituzionale di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2003, che ha introdotto uno specifico impegno dello Stato a promuovere azioni positive per favorire la parità tra uomini e donne.
Questo mutato quadro normativo ha indotto, da ultimo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 49 del 2003, ad avallare le previsioni contenute negli articoli 2 e 7